Donne contro la mafia
Se vogliamo combattere
efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che
sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia. (Giovanni Falcone)
In questo testo vogliamo
parlare di donne coraggiose che hanno riconosciuto il “mostro” che gli
camminava accanto, e hanno avuto il coraggio di lottare contro la mafia facendo
sacrifici e rinunce
· Rita Atria è nata in una famiglia
mafiosa, suo padre era un potente boss , Vito Atria. Dopo la morte di suo padre
e suo fratello, insieme a sua cognata, Piera Aiello, all’età di soli 17anni,
decide di testimoniare sulla sua famiglia. A raccogliere le sue testimonianze è
Paolo Borsellino. Rita dopo la morte di Borsellino presa dalla solitudine e
dallo sconforto si suicida.
·
Piera Aiello all’età di 18 anni sposa
Nicolò Atria, figlio di Vito Atria. Alla morte di suo marito decide, insieme a
Rita Atria, di diventare testimone di giustizia e collabora con Paolo
Borsellino. Il 25 luglio del 2008 viene nominata presidente dell’associazione
antimafia “Rita Atria”. Il 24 ottobre del 2012 esce il libro scritto da lei con
l’aiuto di Umberto Lucentini, giornalista e biografo di Borsellino. Alle
elezioni del 2018 viene eletta alla camera dei deputati per il movimento 5
stelle.
· Gelsomina Verde è stata
una vittima della camorra. Fu uccisa all’età di 22 anni, fu torturata e poi il
suo corpo fu bruciato, durante la prima faida di Scampia. Il suo omicidio colpì
molto l’opinione pubblica perché lei non aveva mai avuto contatti con ambienti
criminali. La sua unica “colpa” fu quella di innamorarsi di un giovane mafioso,
Gennaro Notturno, che faceva parte del clan degli Scissionisti di
Secondigliano. Fu uccisa da alcuni esponenti del clan mafioso Di Lauro. Questo
clan la uccise per vendetta sugli Scissionisti, anche se la relazione di
Gelsomina e Gennaro era ormai conclusa da alcuni mesi prima dell’omicidio.
· Lea Garofalo, calabrese di
Petilia Policastro, lasciò suo marito Carlo Cosco quando capì cosa voleva dire
essere la moglie di un uomo di ‘ndrangheta e scappò con la figlia iniziando a
collaborare con la giustizia. Il marito la uccise barbaramente il 24 novembre
del 2009, dopo averle strappato un appuntamento per parlare della figlia Denise.
Il suo corpo fu dato alle fiamme e fatto sciogliere nell’acido. La figlia lottò
per fare giustizia, accusando suo padre
·
Anna Puglisi insieme al
marito, Umberto Santino, ha fondato il Centro siciliano di documentazione
“Giuseppe Impastato”. Lei è autrice di
molti libri che raccolgono le testimonianze di diverse donne siciliane vittime
della mafia. Nel 1984 ha fondato anche l’associazione delle donne siciliane
contro la mafia.
· Mimma Cacciatore,
diventa preside di una scuola di San Luca, in Aspromonte. Questa scuola era
ridotta in pessime condizioni perché si trovava in un territorio controllato dall’ndrangheta.
Lei decide quindi di rimettere la scuola in sesto, senza paura dei criminali da
cui era circondata, facendo ritrovare così la voglia ai ragazzi di studiare e
agli insegnanti di insegnare. Fu chiamata “preside coraggio”.
· Anna Maria Scarfò è
stata vittima della mafia. All’età di soli 13 anni è stata portata dal ragazzo
che lei credeva l’amasse a fare un giro, ma quando arrivarono a destinazione
c’erano altri tre amici del ragazzo che la stuprarono. L’orrore andò avanti per
ben tre anni. Anna Maria trovò il coraggio di denunciarli quando
capì che volevano coinvolgere sua sorella. In seguito alla denuncia fu
abbandonata dalla sua famiglia: suo padre la buttò di casa mentre sua madre non
l’accettava, le girarono tutti le spalle, ma per fortuna lo stato la aiutò.
Oggi è una donna che piano piano si sta riprendendo.
·
Giusy Pesce, figlia del boss di Rosarno,
nel 2011 decide di ribellarsi alle regole mafiose della famiglia, che fece di
tutto, usando anche violenza, per bloccare la sua collaborazione con la
giustizia. Ma lei, con grande forza e con qualche momento di smarrimento,
continuò e continua a lottare
·
Teresa Cordopatri, “baronessa coraggio”
di Gioia Tauro. Suo fratello, proprietario di terre, viene ucciso dalla
ndrangheta perché non vuole cedere le terre di famiglia al boss Mammoliti. Lei riconosce e denuncia i suoi assassini.
Rimarrà da sola a lottare, fino alla sua morte avvenuta pochi mesi fa, contro
la criminalità, contro l’indifferenza e contro uno Stato che non aiuta
abbastanza
Anche se siamo persone comuni, se uniamo le forze, si può
sconfiggere la mafia. Non bisogna essere politici o persone ricche, perché per
combattere un “mostro” del genere non servono soldi, basta la forza di volontà,
bisogna crederci e volerlo.
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