Teresa Cordopatri monologo immaginario
Alla fine di un percorso dedicato alla legalità, ognuno di noi tramite letture e ricerche personali, ha approfondito un personaggio (uomini delle istituzioni o semplici cittadini) che ha fatto qualcosa per fermare la mafia. Poi abbiamo scritto un monologo immaginario di questo personaggio. Ve ne proporremo alcuni. Oggi vi proponiamo il monologo immaginario della baronessa Teresa Cordopatri scritto da Ilaria.
PROLOGO- La storia della baronessa Teresa Cordopatri ha inizio
il 10 luglio 1991, quando, davanti al portone del palazzo Cordopatri, viene
ucciso il fratello, il barone Antonio Cordopatri.
Reggio
Calabria, agosto 1991- Ho ancora davanti agli occhi la scena che ho vissuto nel
vedere mio fratello ucciso, in una pozza di sangue. Ero impietrita. Non poteva
essere successo davvero. Quando mi sono resa conto che era la triste realtà, mi
sono guardata intorno e ho visto con i miei occhi chi aveva commesso
quell'atroce gesto. I nostri sguardi si sono incrociati, lui teneva ancora in
pugno la pistola. Ha alzato l’arma e l’ha puntata contro di me. In un attimo mi
sono resa conto che ancora non aveva concluso il suo lavoro. Mancavo io. Anche
a me sarebbe toccata la stessa sorte di mio fratello. Avevo paura, ero
terrorizzata. La mia fine era vicina. Ma il destino non ha voluto che la mia
morte arrivasse. La pistola si è inceppata e l’uomo è stato costretto a
scappare.
Sono
rimasta lì. Tutto intorno c’era silenzio. Un silenzio sinistro. Allora mi sono
avvicinata alla macchina, Antonio era lì, immobile. Mio fratello mi aveva
lasciata per sempre. Una fine atroce. Ho iniziato a piangere ed urlare, cercare
aiuto, ma ormai ero sola, con quel silenzio che sentivo pesante sulle mie
spalle. Mi sentivo di colpo senza forza, vuota. Anche a me sarebbe toccata la
stessa sorte…
Però
per fortuna ero viva. Ora mi rimaneva una sola cosa da fare: dovevo dare
giustizia a mio fratello. Io e mio fratello eravamo una cosa sola. Ora lui
doveva vivere in me e avere la giustizia che meritava.
So
chi è stato a sparare e chi è il mandante. Non devo avere tentennamenti. Mi
devo fare forza. Il mio cammino da sola deve iniziare ora, subito. Non devo
avere paura, anzi la paura deve essere la mia forza, e mi darà la
determinazione giusta.
La mia colpa e quella di mio fratello è stata
una sola, di aver detto di “NO” a chi non era abituato a sentirsi dire questa
parola. I nostri uliveti, o meglio tutti i nostri possedimenti, facevano gola a
qualcuno. Sapevamo che il nostro “NO” avrebbe avuto delle conseguenze, ma mai
avremmo pensato che potesse essere questa la nostra sorte. Lui, il capo ’ndrangheta,
voleva i nostri possedimenti. Li voleva ad un prezzo al di sotto del valore. Aveva provato più volte. Ma per noi i terreni
ereditati da nostro padre erano fondamentali. Non potevamo e non volevamo né
venderli, né abbandonarli. E così ci siamo trovati ad iniziare una guerra senza
che noi lo sapessimo. Avevamo impedito
ad un boss di avere ciò che voleva. Quell'uomo non era abituato a sentirsi
contraddire. Il nostro coraggio non bastava. La legge del più forte doveva
vincere anche in questa occasione.
Ora sono rimasta io. Devo lottare per andare
avanti. Farò finire in carcere tutti i responsabili. Non permetterò mai alle
persone che hanno ucciso mio fratello di mettere piede nei miei terreni. Con
sofferenza e speranza mi farò carico di tutti i miei interessi. Andrò ogni
giorno in campagna. Mi trasferirò ad Oppido, andrò ad abitare nel nostro
vecchio palazzo. Un palazzo signorile, grande, luminoso ma vuoto. Senza più
Antonio a darmi forza. Ma ce la farò, lo devo a mio fratello. Sarà la fede a
guidarmi, mi aiuterà a trovare anche il coraggio di ricostruire, perdonare e infondere speranza lì dove è stato sparso del
sangue innocente.
EPILOGO- Teresa
ha continuato per anni, da sola, la sua battaglia. Si è anche incatenata
davanti al tribunale di Reggio. Faceva fatica persino a trovare operai per la
raccolta delle olive, perché venivano minacciati dai mafiosi. E’ morta a settembre del 2018
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